Come essere un cattivo manager
Come essere un cattivo manager
L’altro giorno un cliente che ammiro profondamente mi ha chiesto come mai è così semplice essere un cattivo manager. Cavolo, è una domanda fantastica, ecco perché lo ammiro tanto! Essendo io in primis spesso un cattivo manager, sono nella posizione perfetta per rispondere e quindi gli ho detto che ci avrei pensato prima di dargli il mio parere, ma siccome mi piace mantenere una buona dose di spontaneità con le persone gli ho promesso che nel pomeriggio gli avrei dato la mia risposta.
Partiamo da un presupposto: in linea di principio, noi non siamo bravi a fare nulla.
L’unico modo che abbiamo per imparare a fare meglio qualcosa è pensare e ripensare continuamente quello che facciamo, apprendendo e confrontandoci con altre persone, possibilmente esperte e competenti.
Costruirci un proprio spazio mentale in cui poter pensare ciò che facciamo, o anche pensare ciò che pensiamo, non è semplice e mi azzarderei a dire quasi impossibile da fare da soli.
È curioso pensare come in alcuni ambiti questo ragionamento appaia ovvio, mentre risulta al tempo stesso così difficile a volte da generalizzare. Vuoi diventare più bravo in uno sport, a leggere un bilancio o suonare uno strumento? Ci sono approcci e tecniche da imparare ed è scontato che nessuno possa diventare veramente bravo a farlo senza una buona dose di pratica. Allenarsi, focalizzare la propria attenzione non su cosa facciamo ma su come lo facciamo e ripetere la stessa azione per centinaia di volte fino a quando non la inseriamo nei nostri modelli operativi è il presupposto della crescita.
Ma quanta attenzione poniamo a come facciamo le cose?
Quanta a come ci relazioniamo con le persone?
E quanta a come capiamo i nostri pensieri e sentimenti e li manifestiamo?
Gli atleti professionisti ad esempio dedicano la propria vita (almeno quella professionale) a diventare sempre più bravi a fare una cosa, e una soltanto. Si concentrano ogni giorno per anni nel fare sempre meglio lo stesso gesto. Un giocatore di tennis ad esempio compie lo stesso movimento a 5, 10, 15, 20, 25, 30 anni – e lo compie sempre in modo migliore.
Ma nessun manager comincia a lavorare facendo il manager. Diventare un manager è frutto di un percorso che può durare anche anni, per cui la maggior parte della propria vita e carriera viene spesa facendo altro. Così, quando si viene promossi a manager, è necessario ricominciare da capo a pensare a come facciamo le cose e a trovare nuovi modelli e persone da cui apprendere.
Sono passati migliaia di giorni nella tua carriera, e improvvisamente sei di nuovo al primo giorno di scuola.
Credo sia quindi normale all’inizio non essere un buon manager. Ricordo ancora la prima volta che ho preso in mano una chitarra, e la sensazione non era molto diversa, era forse solo più nitida e questo mi ha aiutato a capire che avrei dovuto fare molta pratica per diventare bravo a suonarla.
Ho sempre ascoltato musica, fin da quando ero bambino. A casa c’era sempre il giradischi acceso, e alle feste chiedevo di solito un disco dei Beatles. Nei weekend mio padre suonava, mentre mia madre mi insegnava a fare le scale al pianoforte per la scuola. Ho passato anni a sentire musica e a vedere la gente suonare. Ma comunque, la prima volta che ho preso una chitarra in mano facevo davvero schifo a suonarla. Probabilmente tutti noi abbiamo avuto la fortuna di vedere bravi manager in azione, ma questo non vuol dire che siamo in grado di mettere in gioco noi stessi nel momento in cui dobbiamo iniziare a gestire attività e rapporti umani molto complessi.
Questo perché ci sono molte variabili che entrano in gioco, le persone sono entità complesse che prendono decisioni basate in primis sulle proprie emozioni molto più spesso di quanto non vogliano ammettere (sì, questo probabilmente vale anche per te) per cui gli esiti delle relazioni umani (e di conseguenza di tutte le attività cui tali relazioni sono alla base) sono difficilmente prevedibili senza una adeguata formazione e una lunga pratica nel leggerle.
Per questo sviluppare la nostra capacità di capire che “se succede questo allora succederà quest’altro” richiede molto più tempo che imparare a suonare una chitarra: quando ho imparato a suonare la chitarra ero da solo nella mia stanza, nessuno mi metteva pressione o aveva aspettative su come stavo suonando e se non avessi suonato bene non correvo rischi di fare danni a me o agli altri. Oggi invece, se sbaglio una decisione posso compromettere l’attività di un cliente, e con questa il lavoro suo, dei suoi dipendenti e quindi anche dei miei dipendenti oltre che il mio.
Forse, è proprio questa preoccupazione che ci porta poi a commettere un altro degli errori che più facilmente noto: volere a tutti i costi intervenire e prendere decisioni anche quando il più delle volte il nostro contributo non aggiunge molto a quanto già fatto dai nostri collaboratori. Non a caso molti manager sono iper-impegnati nella propria attività e faticano così tanto a delegare. È un errore facile da commettere quando siamo costantemente impegnati a dimostrare (soprattutto a noi stessi) che siamo in grado di gestire le attività – tutte le attività – cui siamo preposti.
La parte più complessa di un business non è il business in sé, ma è sempre la gestione delle relazioni su cui quel business si basa. Negli anni il sistema di relazioni umane su cui è fondato il nostro business cambia, cresce, vede fuoriuscire alcune persone e doverne inserire altre all’interno di relazioni che negli anni si sono strutturate e hanno trovato equilibri spesso rigidi e conflittuali tra persone che hanno diversi interessi, ambizioni, capacità e risorse.
Anche mettendoci in discussione, confrontandoci con altre persone e abituandoci a pensare costantemente a ciò che sentiamo, pensiamo e agiamo prima che la nostra capacità di osservare, ascoltare e valutare diventi efficace dovremo di certo passare per una lunga serie di errori che ci renderanno dei cattivi manager.
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