C’era una volta la comunicazione, un Folletto e una tavola da surf
C’era una volta la comunicazione, un Folletto e una tavola da surf
Essere o non essere? Il dilemma di matrice Shakespeariana trova ancora più attualità nella nostra contemporaneità. Non tanto per la sua morale, quanto per la natura che la massima scaturisce nella sua fase di declinazione. Come fare oggi per esserci? Per essere considerati nella nostra nuova società? Molto più liquida, come suggerì Baumann. Una società appunto senza più riferimenti con una fragile presenza di riferimenti. Nemmeno il noto sociologo si aspettava che l’espressione diventasse quasi di uso comune. Una bussola per orientarsi in un panorama che gradualmente ha cambiato connotati. La leva che ha principalmente generato questa metamorfosi è stata la comunicazione. Non in una forma organica, bensì attraverso i suoi tentacoli: ovvero gli strumenti e la tecnologica che hanno permesso uno sviluppo comunicativo così iperbolico, così denso e mai così repentino. Comunicare oggi è diventato indispensabile. Fondamentale. Se vi chiedessi qual è la cosa che riuscite a fare meglio, voi cosa mi rispondereste? Gli appassionati di cucina mi direbbero cucinare, coloro che amano la musica mi direbbero suonare. La reazione sarebbe determinata dal sillogismo relativo ai nostri talenti. Tutto sbagliato. Tutto fuorviante. Tutti gli abitanti di questo pianeta, indistintamente dal sesso, dal grado culturale e dalle proprie inclinazioni, sono in grado di fare una cosa meglio di tutte le altre. Respirare. Lo facciamo in ogni momento e lo facciamo talmente bene che non ce ne accorgiamo. Comunicare assume lo stesso valore paradigmatico. Comunicare significa vivere. Comunicare, tornando al dilemma di Shakespeare, significa esistere sotto il profilo sociale. Con l’avvento di internet sono stati cambiati i modi. La rete, infatti, ha in pochissimi anni trasformato radicalmente le nostre esistenze e ha apportato cambiamenti che sarebbero potuti sembrare fantascientifici fino ad una ventina di anni fa. Non abbiamo avuto il libretto di istruzioni all’ alba di questa ennesima rivoluzione. L’errore più grande che alcuni hanno commesso è stata la restrizione culturale di pensare che il web sarebbe stato accessorio e non necessario. Siamo stati travolti da uno tsunami. Più avanti vi dirò il perché. Intanto, continuiamo a concentrarci sugli effetti generati. Prima di tutto le relazioni hanno avuto una esplosione. Non più verticale, bensì orizzontale. Non più mediata dalla nostra sfera sociale, ma ora aperta. Questo ha comportato una rivoluzione nel nostro modo di stabilire nuovi contatti. La comunicazione ha di fatto steso il tappeto rosso alla globalizzazione creando un nuovo caposaldo. Siamo diventati un villaggio globale. La locuzione è stata utilizzata per la prima volta da Marshall McLuhan, noto studioso delle comunicazioni di massa, nel 1964, nel suo saggio “Understanding Media: The Extensions of Man” in cui, studiava le conseguenze di ciascun “medium” o tecnologia sui cambiamenti del modo di vivere dell’uomo. Di per sé questo concetto riporta un ossimoro al suo interno. Perché vi sono riferimenti ad unità geografiche minori e nel contempo, totali. Soltanto le conseguenze di internet hanno portato alla massima potenza questo concetto mettendo in rilievo il fatto che il mondo può essere ora raggiunto in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. La comunicazione ci ha permesso di essere presenti. On line ovunque. Connessi con tutti con tutte le barriere abbattute. Sia geografiche che culturali. Abbiamo oggi la possibilità di essere visti e “consultati” in qualsiasi momento. Tale rivoluzione ci ha messo nelle condizioni di dover modificare le nostre abitudini. 30 anni fa dover comunicare con uno familiare in un altro continente era un’impresa. Costosa, macchinosa e poco efficiente. I legami ovviamente telefonici erano sporadici. Oggi spingendo un semplice bottone abbiamo la possibilità di non creare nessun costo e di poter vederlo dall’ altra parte dello schermo. Nessun passaggio intermedio che blocca il nostro flusso comunicativo. Se internet già di per sé, ha, attraverso la propria innovazione tecnologica, proposto un nuovo modello, i social media sono stati un ulteriore passaggio nell’ evoluzione di un nuovo paradigma. Tutti parlano di social media, ma pochi hanno capito la prima novità epocale che hanno proposto. Hanno creato un’altra dimensione. Non reale, bensì parallela. Una piattaforma che prima non esisteva e che oggi muta il modo con cui ci si rapporta con l’altro. Specie se pensiamo che i social media ci consentono di estendere le nostre relazioni oltre i confini dei territori nei quali siamo fisicamente presenti. Possiamo oggi raggiungere nuovi contatti. Il nostro ricco e fragile pianeta ospita sette miliardi di persone; 2 miliardi di queste sono collegati a Internet; oltre il 90% della popolazione mondiale ha già oggi la possibilità di accesso alle reti mobili e oltre mezzo miliardo di abitanti del globo ha un account su Facebook.
In Italia nel 2015 ci sono stati 36,6 miliardi di italiani che hanno navigato attivamente su Internet, su una popolazione di 60,8 milioni di individui. 28 milioni di italiani sono attivi sui social media, e 22 milioni di loro utilizzano Internet da dispositivi mobile: una vera rivoluzione nella produzione e 18 nella fruizione dei contenuti online rispetto a soli pochi anni fa. Una nuova realtà parallela dove dobbiamo sottostare a nuove regole. Per esserci, appunto. Per essere visibili. Già, la visibilità che assume lo stesso valore di realtà. Perché se sui social hai un ruolo, significa in modo direttamente proporzionale che nella realtà sei ugualmente importante. Dove un post assume più rilevanza che un colloquio con un nostro amico. Tutto perché, appunto, i follower rappresentano la prima chiave interpretativa che qualsiasi webnauta fa su di noi. Il pericolo è rappresentato dal modo in cui ci creiamo una opinione. Dalla velocità con cui lo facciamo. Se non abbiamo un obiettivo, una strategia su come volgiamo essere visti e considerati, finiremmo per commettere un errore fatale. Perché è necessario ricordare e pensare che internet ha una memoria infinita. I motori di ricerca possono riproporci una foto di una decade fa e renderla ancora attuale. E il circuito funziona perché l’opinione va a braccetto con la reputazione. Cioè quello che dicono di noi. Riproponiamo questo schema in campo aziendale. Le azienda con internet in minima parte, ma soprattutto con i social si sono viste aprire un nuovo orizzonte. Si sono fatti largo nuovi modelli di business che hanno costretto manager e imprenditori a modificare il proprio modo per ottenere profitti. I social per loro non erano più solo luoghi diventano mercati. Opportunità business per acquisire nuovi clienti. La prima azienda che in Italia ha portato un modello di marketing innovativo era stata la Folletto. Il classico venditore di aspirapolvere che batteva tutti i posti più sperduti in Italia per crearsi nuovi lead. Lead sarebbero i potenziali clienti. Ogni giorno era utile per visitare una nuova casa con il faticosissimo porta a porta oppure organizzare merende con più casalinghe. E quante volte ci è capitato di vedere il rappresentante esibire le prestazioni del suo prodotto. Quell’ ora non era una semplice visita, ma una vera e propria strategia di vendita. Il fatto già di ospitare nella propria abitazione il venditore, metteva nella condizione quest’ultimo di creare un rapporto empatico con il proprio lead. Successivamente, il gentile venditore creava una necessità nel suo interlocutore, facendo sì che le prestazioni del suo folletto da quel momento diventassero non straordinarie ma necessarie. Tanto che in quell’ora di dimostrazione il potente folletto toglieva da qualsiasi tappeto ogni macchia e ogni residuo dimostrando che in ogni casa lui ci dovesse essere. Con internet questo faticoso meccanismo è stato azzerato sviluppano nuove strategie per aggiungere il medesimo risultato. Come le campagne di advertising o la creazione di contenuti di valore per raccontare lo storytelling aziendale. Cos’è lo storytellig? E’ una storia, capace di suscitare emozioni, spiegare i perché, illustrare i come e invogliare l’ascoltatore a cercare il cosa. E’ un modo diretto per spingere il nostro potenziale cliente ad avere una necessità. Trasliamo questo concetto e applichiamolo al caso che stiamo vedendo. Oggi con questi strumenti un’azienda di Folletto può facilmente ottenere un contatto con la propria strategia social e successivamente concludere una venduta sul web senza dover fisicamente intavolare nessuna trattativa e nessuna dimostrazione con un conseguente risparmio e margine economico. Proprio perché il web appunto è uno tsunami; o ci facciamo travolgere o lo cavalchiamo con una tavola da surf.
Jacopo Frattini
Giornalista pubblicista,
Cultore della Materia di Linguaggio della Comunicazione sportiva
del Corso di Laurea Magistrale in Scienze dello Sport dell’Università di Urbino “Carlo Bo”
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