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Perché dobbiamo iniziare a pensare le emozioni in azienda

In questi giorni tutti noi stiamo vivendo insieme uno strano periodo, qualcosa di inconcepibile per le generazioni nate e cresciute dal dopoguerra in poi. La definitiva esplosione pandemica del Covid-19 non soltanto ha stravolto il nostro presente, ma con tutta probabilità anche il nostro futuro. Potremmo dire che oggi il futuro “non è più quello di una volta”. Tutte le organizzazioni hanno dovuto affrontare in pochi giorni una quantità enorme di sfide legate in primis allo smart working e alla business continuity: sebbene queste sfide in un primo momento siano state percepite principalmente come tecnologiche e contrattuali, ci si è subito resi conto quanto sarebbe stato (e quanto sarà) importante l’aspetto emotivo per poterle superare.

Nelle prossime settimane ci troveremo tutti a lavorare in condizioni straordinarie, saremo circondati 24 ore al giorno dai nostri cari e inevitabilmente ci troveremo a suddividere tutti i nostri interlocutori in due gruppi: quelli ai quali chiederemo rassicurazioni e quelli che si aspetteranno da noi di essere rassicurati. I nostri figli probabilmente apparterranno al secondo gruppo, mentre i nostri genitori rientreranno a seconda dei casi in uno o nell’altro. Sul lavoro, i dipendenti si aspetteranno di essere rassicurati dai propri datori di lavoro, mentre questi vorranno essere rassicurati dai clienti. In ogni transazione economica la componente emotiva diventerà importante quanto o più di quella monetaria. Il “saldo emotivo” di quanto a ognuno di noi verrà chiesto e quanta rassicurazione ognuno di noi riceverà non sarà per tutti positivo, ma del resto una comunità è tale soltanto quando ognuno dei suoi membri è disposto a correre questo rischio.

Come spesso accade, le situazioni estreme spesso non offrono nuovi insight ma piuttosto mettono sotto una nuova luce e una nuova urgenza idee che già circolavano nelle nostre società. Che impatto hanno le fake news? Fino a che punto un regime democratico può restare realmente democratico? Se il nostro mondo è sempre più inevitabilmente globalizzato e interconnesso, come mai quasi tutte le elezioni democratiche negli ultimi anni hanno premiato i movimenti politici che più richiamavano le identità nazionali e proponevano una minore integrazione tra i paesi?

Tra tutte queste, c’è un’altra domanda che pure dovremo farci nelle prossime settimane: in questi anni le nostre organizzazioni hanno investito sufficientemente sul proprio capitale umano? Non mi riferisco soltanto alla formazione tecnica (quale è ad esempio quella necessaria per lavorare in maniera agile), ma anche alla competenza emotiva necessaria ad esempio per ridurre gli attriti tra le persone e tra i gruppi di lavoro. Mi riferisco anche alla sicurezza emotiva necessaria a concentrarsi per svolgere il proprio dovere anche in periodi caratterizzati da livelli di incertezza elevatissimi.

Mantenere la calma e andare avanti presuppone un efficace contenimento emotivo dei propri dipendenti, ma anche di supportarli con lo spirito del pater familias per metterli nelle condizioni di continuare a svolgere i propri compiti (ovvero tutelare le aspettative di tutti quelli che sullo svolgimento di quei compiti faranno affidamento). Se c’è una cosa che questa epidemia ci sta insegnando è che siamo tutti inevitabilmente connessi, per cui le difficoltà incontrate da un dipendente o da un collega saranno le difficoltà di tutta la nostra organizzazione. Si tratta se vogliamo della nota teoria dell’anello debole, rivista però in chiave emotiva.

Se negli ultimi anni tutte le grandi aziende hanno iniziato a valutare il proprio personale non soltanto dal punto di vista tecnico ma anche dal punto di vista delle competenze emotive (ovvero tanto per l’intelligenza cognitiva quanto per l’intelligenza emotiva), molti di noi continuano a lavorare in contesti cosiddetti “a basso EQ“. Forse è inutile sottolineare come il lavorare in una organizzazione che presta attenzione agli aspetti emotivi sarà probabilmente uno dei fattori protettivi più importanti per mettere i propri dipendenti nelle condizioni per poter continuare a svolgere al meglio i propri compiti, e quindi per consentire all’organizzazione nel suo complesso di uscire vittoriosa anche da questa nuova sfida.

Viviamo in un mondo ossessionato dai dati, dai Web Analytics ai Big Data e alla Marketing Automation. Noi stessi come Zwan basiamo gran parte delle nostre attività su questi dati. Ma non dobbiamo correre il rischio di pensare che la sopravvivenza delle nostre organizzazioni sia soltanto una questione “razionale” (se così si può dire), perché se così fosse finiremmo per sfruttare soltanto una piccola parte delle risorse che ognuno di noi ha. Non si tratta soltanto di lavorare bene in gruppo o essere creativi, si tratta di qualcosa di molto più importante che questa epidemia, tra le altre cose, ci sta ricordando.

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