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AI in Europa e in Italia: tra ritardi, piani d’azione e priorità

Inutile girarci attorno. Sono anni che, per molti versi, l’Europa arranca per rimanere al passo dei leader mondiali sul tema della digital transformation e delle numerose forme che questa ha assunto nel tempo. In media, quello che si può osservare è un gap esistente tra i paesi del nostro continente e i leader mondiali dell’innovazione, in particolare Stati Uniti, Cina e gli altri player asiatici.

È passato un anno da quando l’istituto McKinsey lanciava, in un certo senso, un nuovo allarme riguardante l’AI. Proprio nel settore dell’intelligenza artificiale, infatti, il gap tra l’Europa e i paesi capofila rischia di aggravarsi. Perché?

L’AI in Europa

Innanzitutto l’Europa sfrutta ancora in minima parte il suo potenziale digitale. Nel 2016 eravamo fermi al 12%. Il PIL europeo non è lontano da quello statunitense ed è di poco superiore a quello cinese. Il nostro settore IT contribuisce a tale PIL per meno del 2%, la metà di quanto faccia l’IT negli Stati Uniti. Né stiamo sfruttando i quasi 6 milioni di sviluppatori professionisti europei, un numero che ci pone davanti al paese a stelle e strisce. Il nostro continente ospita solo il 10% delle cosiddette aziende unicorno.

Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, il quadro potrebbe complicarsi per il vecchio continente. Il 25% delle startup AI sono europee, ma gli investimenti non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli cinesi e statunitensi. L’Europa riesce ad attrarre solo l’11% degli investimenti in questo campo, contro il quasi 50% USA e il 40% sfiorato dall’Asia. Non solo. Il problema più grande sembra legato alla penetrazione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi. In Europa, solo il 5% delle aziende europee che hanno adottato tecnologie AI le sfruttano nel 90% del loro lavoro. Il 93% dei pionieri europei utilizza tecnologie smart al 10% del loro potenziale e, se parliamo delle applicazioni in ambito sanitario, la percentuale è imbarazzante. Solo nel 2% dei casi l’intelligenza artificiale è sfruttata a dovere (80% del workflow).

I motivi del gap Europeo

Eppure molti player europei comprendono la forza competitiva e disruptive dell’Intelligenza artificiale, fatto che potrebbe influenzare entro il 2030 il 50% delle nuove adozioni in tale settore. In effetti, sembrerebbe che a trattenere al momento molte aziende europee da investimenti sull’AI sia la mancata preparazione, sostanziale o percepita, dell’attuale forza-lavoro nel recepire tale innovazione e utilizzarla proficuamente nei processi.

A questo si aggiungano le prevedibili differenze regionali all’interno dell’Europa. Come di consueto, i paesi del Nord e dell’area anglosassone hanno un deciso vantaggio sugli altri e procedono, anzi, allo stesso passo di USA e Cina. Il gapp, a ben vedere, riguarda la parte meridionale e orientale del continente. La nostra Italia, purtroppo, non si segnala per eccellenza. Siamo nella parte alta della classifica europea solo per automazione, mentre siamo giù per innovazione, numero di start-up AI, investimenti, digital readiness, competenze e ICT.

Il futuro prossimo dell’AI

Il 2020 si annuncia particolarmente importante per cambiare passo e avviare la crescita. Come dichiarato dalla nuova presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, ci sarà la prima iniziativa legislativa sulle conseguenze etiche e umane dell’intelligenza artificiale. La leadership continentale sa bene che, senza un massiccio impiego di AI e IoT, il Green New Deal (l’ambizioso piano ambientale della Commissione per fare dell’Europa il primo continente carbon-neutral entro il 2050) è virtualmente impossibile. Una mancata regolamentazione potrebbe d’altra parte voler dire impatto sociale drammatico (spostamento risorse dal lavoro al capitale, nuove contraffazioni e alterazioni del processo democratico) e costi ambientali ingenti.

La situazione italiana

Si fatica, in questo contesto, a comprendere l’evidente ritardo italiano nel dotarsi di un piano d’azione per accompagnare la trasformazione digitale, in particolare attraverso una strategia per la diffusione sostenibile dell’AI nelle imprese, nella PA e tra i cittadini. Tutti i Paesi UE avrebbero dovuto adottare una strategia nazionale sul tema entro giugno 2019. Il nostro Paese manca ancora all’appello.

Ad oggi si dispone solo di un documento elaborato da una task force di 30 esperti indipendenti con formazione multidisciplinare. Le priorità per una corretta adozione dell’intelligenza artificiale in Italia, così come suggerite al Governo dagli esperti, sono le seguenti:

  • adozione di un quadro etico e normativo sostanzialmente omogeneo rispetto al tracciato comunitario, ma più dettagliato per quanto concerne la responsabilizzazione dell’intera filiera
  • visione antropocentrica e planet-centri dell’AI, considerata strumento di affermazione e potenziamento dell’intelletto umano, base per la crescita della sostenibilità sociale e ambientale
  • economia dei dati e infrastrutture come fattori abilitanti
  • ruolo centrale della Pubblica Amministrazione come catalizzatore di una trasformazione digitale a vantaggio del cittadino e dell’ambiente
  • sviluppo e promozione di progresso, competenze e regole riguardanti le tecnologie complementari all’AI, come il 5G, l’IoT, il supercomputing, l’AI distribuita, la blockchain e le architetture edge/cloud
  • applicazione in ambiti strategici come industria, servizi, agrifood, energia, PA, beni culturali e digital humanities.

Il progresso è qui, prendere o lasciare. Perdere anche questa opportunità potrebbe voler dire smettere di essere considerati un Paese dall’economia avanzata. Bisogna costruire competenze e strutturare piani d’azione concreti, per la crescita nazionale e il rilancio dell’Europa.

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