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Climate Change: preoccupa più l’etica o la finanza?

Il cambiamento climatico è stato l’argomento che, a livello mondiale, ha forse avuto maggiore risonanza nel 2019. L’anno appena trascorso si è chiuso con la consacrazione a dicembre di Greta Thurnberg, nominata Persona dell’Anno da Time. Tutti abbiamo imparato a conoscere il volto appena diciassettenne del movimento Fridays for Future. In molti hanno imparato ad apprezzare quel volto, simbolo di coraggio e reazione civile a una questione di massima urgenza. Non sono mancate però le strumentalizzazioni e, una parte dell’opinione pubblica, aizzata da alcune figure politiche, è arrivata a disprezzare e insultare quel volto.

Una reputazione difficile da gestire, quella della svedese, alternativamente osannata o aspramente criticata per qualsiasi azione. C’è chi, qualche giorno fa, ha parlato di “battere cassa” alla notizia della registrazione del marchio #FridaysForFuture da parte della giovane.
Certo è che Greta Thurnberg ha portato attenzione sul tema Climate Change e ha spostato opinioni, tant’è che Reputation Review le ha dedicato la copertina del suo numero dedicato all’influencer marketing.

Quella che Greta aveva sollevato col suo famoso discorso “How dare you?” era però una questione etica. Le vecchie generazioni stanno, col loro atteggiamento, condannando i giovani a un futuro complicatissimo e compromesso per sempre, in cui le calamità diventano all’ordine del giorno e le risorse scarseggiano.

Non solo ambiente

Ora però la questione si fa anche finanziaria. Bank of England, FMI e la società di consulting più nota al mondo, McKinsey & Company, hanno iniziato a mettere mani con serietà ai numeri per capire l’impatto che cambiamento climatico e nuove politiche ecosostenibili avranno sull’economia mondiale. Le cifre che si leggono nelle loro autorevoli ricerche fanno strabuzzare gli occhi.

Innanzitutto, ciò che emerge dallo studio interdisciplinare di McKinsey è che l’impatto socio-economico sarà immediato. I rischi di impatto fisico del clima cresceranno entro il 2030 e, una volta superate le soglie di sopportazione del pianeta, intorno al 2050, avranno una crescita non lineare. Diminuirà la produttività del lavoro all’aperto, cresceranno enormemente le spese per la manutenzione e riparazione delle infrastrutture. Nel caso di Ho Chi Minh City, ad esempio, si calcola che i danni diretti alle infrastrutture, su una media secolare di alluvioni, cresceranno da 200-300 milioni di $ a 500 milioni-1 miliardo di $ nei prossimi 30 anni. Ma, ciò che è peggio, cresceranno a un ritmo superiore le ripercussioni sull’intero sistema economico della città che, a causa delle alluvioni, perderà non più tra i 100 e i 400 milioni di $, ma tra l‘1,5 e gli 8,5 miliardi di $.

Una visione sistemica

Il rischio è anche sistemico. L’economia globale ci ha abituati a organizzare l’approvvigionamento di cibo in una certa maniera, concentrando la produzione in alcune particolari regioni e privilegiando l’efficienza rispetto alla resilienza. 5 regioni sono, ad oggi, i granai del mondo. Da essi proviene il 60% del grano consumato dall’umanità: quando il clima metterà a rischio uno di questi granai, il sistema potrebbe collassare.

Il problema però è anche, come detto, prettamente finanziario. Si pensi al mondo immobiliare, ad esempio, che deve già fare i conti con calamità naturali previste, ma ancora non pervenute. Così, in Florida, l’aumento previsto dell’incidenza di uragani e alluvioni sta portando a una svalutazione degli immobili più esposti che può arrivare ai 50 miliardi di dollari. Conseguentemente, le contee coinvolte devono aspettarsi una diminuzione degli introiti da tasse sulla proprietà tra il 15 e il 30% entro il 2050.

Cambiamento e rischio diventano parti in gioco da tenere in considerazione e tutti i decision-maker devono tenerne conto, per gli investimenti e le strategie del prossimo trentennio. Gli scienziati ci dicono che è fondamentale portare a 0 le emissioni di gas serra.

Anche lo sforzo per ottenere quest’obiettivo, fondamentale per noi tutti, avrà però un costo. Si calcola infatti che decarbonizzazione e passaggio alle rinnovabili porterà macchinari ad essere obsoleti per un totale che si aggira tra 1 trilione e 4 trilioni di dollari. L’investimento è necessario, ma la domanda rimane la stessa: “Come osate?”.

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