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La chiave per la sostenibilità è nella tua Supply Chain

Stando alle proiezioni di Goldman Sachs, nel 2030 il 25% delle automobili che guideremo sarà elettrica. Ci ritroveremo al volante di automobili che costeranno in media 34.000 €: un prezzo che coprirà il costo di circa una tonnellata di acciaio, 400 kg di plastica, 400 kg di alluminio e batterie che saranno significativamente più pesanti di quelle che utilizziamo oggi.

E se quell’automobile immatricolata nel 2030 fosse costruita usando materiali a impatto zero (in parole semplici: la cui produzione non altera l’equilibrio tra gas serra introdotti e rimossi dall’atmosfera)? Un’auto così costerebbe una fortuna, vero? E invece, secondo un recente studio condotto da Boston Consulting Group e World Economic Forum, produrre un’automobile a impatto zero potrebbe aggiungere solo un misero 2% sul costo finale, l’equivalente di ciò che si spende per optional come sedili riscaldati o impianti stereo di gamma alta.

La chiave per ottenere tale risultato risiede nel lavorare sulle Supply Chain.

 

Quanto è importante la Supply Chain per la sostenibilità?

Le analisi indicano infatti che, in generale, si potrebbero ridurre circa il 40% delle emissioni prodotte lungo le 8 maggiori Supply Chain mondiali a un costo irrisorio di 10 € per tonnellata di CO2. Per il consumatore finale, questo vorrebbe dire un sovrapprezzo che oscilla tra l’1% e il 4% sul prodotto finito: in altre parole, 500 € in più per un’automobile, 2,50 € per uno smartphone, 80 cent per un paio di jeans.

Fonti: Fortune, BCG

 

Il fatto che la decarbonizzazione aggiunga costi così esigui alla fine di una qualsiasi delle principali catene di valore costituisce una grande opportunità per le aziende per fare davvero la differenza.

Di certo non si può chiedere ai colossi dell’agricoltura o dell’industria pesante (i maggiori responsabili delle emissioni “contenute” nei prodotti di uso quotidiano) di finanziare la transizione verso l’impatto zero da soli. Le compagnie che si rivolgono al consumatore finale, però, possono collaborare tra loro e in ottica transnazionale per ripulire le loro catene di fornitura.

 

La vera sfida green delle Supply Chain

Se è tutto così semplice, perché le aziende non sembrano ancora sul punto di mettere la Supply Chain al primo posto nella loro agenda per l’ecosostenibilità?

Perché, in effetti, non è tutto così semplice purtroppo. Mentre infatti le aziende diventano ogni giorno più sensibili e consapevoli delle emissioni prodotte “in-house”, può essere molto complicato per la leadership avere contezza delle emissioni che i fornitori rilasciano nell’atmosfera per contribuire alle produzioni dell’azienda. Questo è particolarmente vero per chi produce beni fatti di migliaia di componenti e che, inevitabilmente, si ritrovano costrette ad aggiornare continuamente la propria base di forniture. L’ostacolo principale, come spesso avviene nel nostro mondo, è legato ai dati (big data in questo caso), alle analisi, ai tracciamenti, alle misurazioni e, soprattutto, alle certificazioni.

Possibili soluzioni per la Supply Chain

  • Le aziende hanno perciò innanzitutto bisogno di ottenere un’immagine chiara delle emissioni a monte delle loro operazioni costruendo un database specifico con dati specifici sui fornitori e sul loro impatto ambientale nella collaborazione con l’azienda. Il database può aiutare a definire meglio obiettivi comuni di medio e lungo periodo. 
  • È importante, quando possibile, ripensare prodotti e modelli di produzione in ottica di circolarità, tenendo in considerazione la sostenibilità nella selezione dei materiali, nello sviluppo di specifiche e altro. 
  • Un’altra possibile strada potrebbe andare nella direzione di accordi, tra azienda e fornitori, sugli standard di emissioni e fare di questi standard una delle metriche su cui basare la scelta dei fornitori stessi, offrendo anzi l’incentivo di termini contrattuali migliori ai fornitori che mostrano progressi green.
  • È bene tenere a mente che l’ordine di priorità delle azioni da mettere in campo dev’essere specifico e diverso per ogni settore. Se l’azienda di cui parliamo è nel settore food, il focus iniziale può magari vertere su garantire circolarità al modello di produzione del packaging, ad esempio. Mentre per chi è impegnato nell’edilizia è più probabile che i primi interventi vadano già in direzione di accordi per forniture di cemento prodotto con tecnologie meno impattante, o verso investimenti in tecnologie CCS (Carbon Capture and Storage). Una azienda impegnata nel settore dei servizi magari opterà per uffici energeticamente efficienti. 
  • Chiaramente, i Governi regionali e nazionali devono agire da facilitatori in questi processi, mettendo un prezzo sul carbone, destinando fondi per le ripartenze sull’innovazione, premiando le aziende disposte a cambiare, proteggendole così dalla concorrenza di quelle che invece non sono disposte a innovare da subito. 

Il punto è, però, che, anche senza troppe agevolazioni dall’alto, le aziende possono con il potere del networking ripulire la propria supply chain a monte e trainare il contrasto alle tante sfide del cambiamento climatico.

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