È uno dei tormentoni dell’estate italiana, martellante a livello mediatico quasi quanto le hit ballabili che vengono trasmesse h24 dalle radio generaliste. Il calciomercato è croce e delizia dei tifosi, ma anche delle società, dei calciatori e dei loro procuratori. Se da un lato, infatti, è puro ossigeno per milioni di appassionati rimasti orfani delle competizioni nei mesi più caldi dell’anno, dall’altro, è un periodo febbrile e cruciale: poche settimane nelle quali si giocano gran parte delle fortune dei protagonisti coinvolti.
A ogni finestra di mercato, il rischio di “perdere la faccia” è sempre dietro l’angolo. E se forse è vero che il calcio non è più lo sport romantico di un tempo, che non c’è più spazio per le bandiere e che è tutta questione di business e alta finanza, la reputazione, il vero capitale del terzo millennio, sta diventando uno dei top player in campo.
I trend reputazionali del calciomercato estivo 2023
Calciomercato e reputazione sono sempre stati saldamente legati tra loro e, negli ultimi anni, anche per effetto dei social network che creano un canale diretto con i sentimenti delle tifoserie, stanno diventando sempre più interdipendenti. È infatti il capitale reputazionale dei direttori sportivi e procuratori coinvolti che agevola la chiusura di trattative e contratti. Le magliette e i biglietti si vendono anche e soprattutto in virtù del boost reputazionale ottenuto dalle squadre che ben si destreggiano nella finestra estiva, dai sogni accesi dall’arrivo di grandi nomi o da importanti conferme. Non si dimentichi che è proprio a luglio che si fanno i calendari stagionali e i tifosi iniziano a organizzare le proprie “domeniche sportive”.
Al di là delle notizie quotidiane che si susseguono a una velocità che sfugge all’intento di questo articolo, possiamo individuare almeno tre macro-tematiche o tendenze che stanno caratterizzando i rapporti tra calciomercato e reputazione nell’estate 2023:
- il tentativo, da parte di “nuovi potentati”, di costruire e alimentare la propria reputazione attraverso il football;
- la volontà, da parte della maggior parte dei top club e degli altri stakeholder (procuratori in primis), di prendere sempre più in mano la narrazione legata al calciomercato;
- l’utilizzo, più o meno profondo, dell’IA nelle pratiche di scouting e nei processi decisionali dei club impegnati sul mercato.
Vediamo nel dettaglio in cosa consistono queste tre tendenze e quale impatto possono avere da un punto di vista reputazionale.
L’Arabia Saudita e le operazioni di sportwashing
La forza prorompente con cui la famiglia reale Āl Saʿūd e i personaggi ad essa vicina sono entrati nel business del calcio è per certi versi inedita. Certo, qualche anno fa, anche la Cina aveva tentato qualcosa di simile e tutti ricordiamo bene il caso dei mondiali in Qatar del 2022. I sauditi, guidati dal principe ereditario Mohammad bin Salman hanno però inserito il football in un piano strategico di più ampio respiro per dare maggiore credibilità internazionale al loro Paese, che, nonostante il suo rapporto controverso con democrazia e diritti, continua a essere un importante interlocutore per l’Occidente nell’area e si appresta al lancio di opere tutt’altro che semplici da realizzare, come The Line, la città lineare di 170 km che taglierà la zona nord-ovest della Penisola (si legga l’articolo di Gianfranco Turano apparso su L’Espresso del 2 luglio).
Oltre alla proprietà del Newcastle, riportato in Champions League dopo 20 anni e rafforzato ulteriormente con l’acquisto clamoroso di Sandro Tonali con un’operazione da circa 80 milioni di euro, ciò che colpisce davvero l’occhio quest’estate è il continuo tentativo di fare incetta di pezzi pregiati del calcio europeo per dare credibilità alla Saudi League. Kanté, Ruben Neves, Karim Benzema sono solo alcuni dei grandi giocatori portati con stipendi e costi totalmente anti-concorrenziali nelle squadre legate al re e alla sua famiglia (Al-Hilal, Al-Ittihad, ecc.). Squadre i cui nomi erano totalmente ignoti ai più fino a qualche mese fa.
Indubbiamente queste imprese stanno portando sulla bocca di tutti un Paese che altrimenti, nel migliore dei casi, arriva sulle news di questa parte di mondo solo per questioni legate a tensioni internazionali o violazioni dei diritti umani. A livello reputazionale, nel breve periodo, è sicuramente una vittoria per i sauditi. Non è però affatto scontato che l’attenzione sul loro campionato rimanga alta anche durante la stagione e nel medio-lungo periodo, fatto che trasformerebbe l’intera operazione sportiva in un fallimento, non dissimile da quello già esperito dalla Cina qualche anno fa.
Prendere in mano la narrazione sul calciomercato
In un’epoca in cui ogni notizia sportiva diventa miccia per l’esplosione delle polemiche sui social, i top club stanno infittendo ancora di più i rapporti con la stampa e giornalisti “vicini” alle loro società, anche per contrastare analoghe operazioni condotte dai procuratori e dalle agenzie di management dei calciatori. Lo si è visto chiaramente proprio nei primi giorni di luglio nell’ambiente del PSG. Non appena Kylian Mbappé ha mostrato, come succede quasi ogni estate, i suoi “mal di pancia” legati al club francese, Leonardo, una voce autorevole e vicinissima al club, ha rilasciato una dichiarazione a L’Equipe mettendo in un certo senso “le mani avanti”, davanti alla possibilità di una partenza della superstar classe 1998.
Da un punto di vista del marketing reputazionale, questo modo di agire è di provvidenziale importanza. Lasciare infatti che siano i giornalisti, i tifosi e altri stakeholder a dominare la comunicazione attorno al club è un vero e proprio rischio per la corporate reputation. Chi infatti non si concede con regolarità, durante le finestre di mercato, ai media e alle fonti di informazione, diventa automaticamente oggetto di illazioni, speculazioni, “beffe”. È il caso, in Italia, del Milan che, dopo la fine del campionato, ha subito gli “schiaffi in faccia” degli esoneri di Maldini e Massara, prima, della partenza di Tonali (considerato nell’ambiente una bandiera), poi. Nonostante, però, il club si sia mosso già con diverse operazioni importanti (arrivo di giocatori dal pedigree internazionale dalla Premier League), viene considerato dai più “beffato”, in una sorta di derby perenne con l’Inter anche sul fronte calciomercato. Vedi il caso Frattesi, un giocatore mai veramente cercato dalla sponda rossonera. Difficile non pensare che l’imperscrutabilità della proprietà americana e dei suoi rappresentanti italiani (che fanno molto, ma “rilasciano” poco) non c’entri nulla con questo tipo di narrazione che si è imposta cross-channel tra gli addetti ai lavori e non solo.
Intelligenza Artificiale e Machine Learning al servizio del calcio
L’Intelligenza Artificiale è l’Argomento del 2023. La sua influenza allora non poteva che farsi sentire anche su un giro d’affari, quello del calcio, che muove 47 miliardi di dollari di fatturato globale. Che la statistica sia importante per lo sport professionistico non è una novità, nemmeno in un ambiente come quello calcistico che spesso appare piuttosto conservatore.
Certo lo sport della palla rotonda non è il baseball con i suoi modelli legati alla sabermetrica, ma già il Manchester United del treble ‘98-’99 utilizzò il software di football performance analysis Prozone, del quale Steve McLaren, assistente di Sir Alex Ferguson, era un estimatore, per avvantaggiarsi nella lettura dei pregi e dei difetti delle squadre avversarie.
Ora però software house impegnate nella corsa all’IA, come AI Abacus, hanno sviluppato programmi professionali predittivi che permettono, tramite il machine learning e l’intelligenza artificiale “trainata” dai big data disponibili a livello professionale nel calcio, di prendere decisioni consapevoli su quali giocatori si adatteranno meglio alla propria squadra, da un punto di vista tattico, di intesa con i compagni, di ROI (return on investment) e tanto altro.
Se è vero che il mondo del calcio oppone sempre una certa resistenza ai grandi cambiamenti e che il tifoso medio storce sempre il naso all’inizio (come avvenuto in MLB prima del caso Athletics/Billy Beane e della vittoria dei Red Sox alle World Series 2004), altri stakeholder come investitori, azionisti, opinion leader e una parte dei giornalisti non possono che guardare con interesse e stima a quei club che si stanno avvantaggiando prima di tutti di queste nuove tecnologie per lo scouting, nell’ottica di scelte meno umorali, a misura delle esigenze degli allenatori e più sostenibili economicamente. Un win-win reputazionale da non sottovalutare.
Scenari futuri: sostenibilità, rating, rilancio del Made in Italy
Proprio sulla sostenibilità economica e sui comportamenti virtuosi si giocherà gran parte della reputazione – e quindi del successo – dei club calcistici nei prossimi anni. Questo è specialmente vero in Italia, dove le grandi cordate e proprietà locali degli anni delle “sette sorelle”, hanno lasciato le grandi piazze del nostro calcio in situazioni economiche spesso disastrose. Tra plusvalenze falsate, operazioni di mercato a credito e indebitamenti, l’unica strada sostenibile – che piaccia o no – sembra quella di puntare sui giovani (eventualmente da rivendere quando il valore di mercato permette delle plusvalenze autentiche), su stadi di proprietà che restituiscano benessere alla comunità locale, sul rendere il club una media company.
I fondi finanziari sono sempre più coinvolti nel calcio e stanno portando perciò nelle società la loro filosofia, legata ai numeri e ai rating reputazionali (si pensi al FICO Score). Questa tendenza avrà un impatto crescente negli anni a venire. Persino il sito tedesco Transfermarkt, che tutti gli appassionati conoscono e frequentano, si sta trasformando in questo senso, raccogliendo nel proprio database sempre più statistiche e analisi, non solo sui giocatori, ma anche sui club e sul loro valore assoluto: valore di mercato, probabilità di chiudere trattative, ritorno sugli investimenti, ecc. sono metriche che contribuiscono, nel complesso, a formare il valore reputazionale di un club.
In ultima istanza, da un punto di vista della reputazione per i club italiani, è plausibile pensare che presto possa crescere il valore della presenza in rosa di talenti “Made in Italy”. Si pensi a quanto sia importante, ad esempio, per top club come il Bayern Monaco e il Barcellona, l’aver costruito dei settori giovanili, non solo efficienti, ma anche profittevoli. Con la “cantera” e la crescita in loco dei talenti, infatti, si crea un circolo virtuoso, per il quale i giocatori provenienti da quei settori giovanili portano con sé una garanzia di qualità legata alla reputazione del club in cui sono cresciuti (fatto che alza il loro valore di mercato) e, contemporaneamente, accrescono la reputazione del club stesso rendendolo sostenibile economicamente e solido anche nei momenti di ricambio generazionale o alla fine dei naturali cicli sportivi.
Ai talenti “Made in Italy” di cittadinanza italiana, si chiede inoltre di rialzare le sorti e la reputazione del nostro calcio nazionale, da troppo tempo non all’altezza delle aspettative di noi tutti. Dovessero riuscirci, la ricaduta reputazionale sui club che ne possiedono il cartellino sarebbe molto positiva.