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Sei quel che fai: l'equazione della reputazione

Sei quel che fai: l’equazione della reputazione

Che cos’è la reputazione? Secondo la definizione di Bennett e Kottasz (2000), la reputazione di un singolo o di un’organizzazione può essere considerata come “la fusione di tutte le aspettative, percezioni e opinioni sviluppate nel tempo da parte di clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico.” 

In questa enunciazione sono racchiuse tre variabili indispensabili per la creazione e costruzione sostenibile del capitale reputazionale: le emozioni, il tempo e gli altri. Lo sviluppo sociale della reputazione di una realtà si concretizza in maniera progressiva e parallela alla percezione della stessa all’interno di un gruppo o di una comunità.

Un capitale a più reputazioni

Strettamente correlata al costrutto neurocognitivo del Visual Hammer – il riflettore percettivo che si accende in risposta all’input reputazionale – la crescita della reputazione di un libero professionista, manager o azienda è un costrutto mentale che può differenziarsi a seconda della diversità percettiva da parte dei suoi portatori di interesse.

Sei quel che fai: l'equazione della reputazione

Non una reputazione, dunque; ma un capitale a più reputazioni. Queste ultime possono convergere o divergere in tempi molto rapidi. Il loro procedimento è complesso e mutevole; può essere stabile o spiccatamente ballerino. Ciononostante, nella sua evoluzione l’andamento presenta sempre una grande costante: la sensibile influenza delle azioni

Nonostante l’invisibile valore percettivo del sistema di credenze, giudizi e aspettative creato e condiviso all’interno di una specifica collettività, la reputazione trova peso effettivo e concreto nella condotta complessiva di un’organizzazione; nella storia delle sue azioni, reazioni e trasformazioni comportamentali. 

Come prosegue la definizione di Bennett e Kottasz (2000), la reputazione cresce e si sviluppa sempre in maniera parallela con “la personale esperienza, il sentito dire o l’osservazione delle passate azioni dell’organizzazione”. Non si tratta di una novità per il campo della psicologia: Carl Gustav Jung ricorda che siamo soprattutto quello che facciamo e non quello che diciamo che faremo.

Un capitale a più azioni

Oltre al ramo psicologico, anche le neuroscienze sottolineano il considerevole ruolo dell’azione nella costruzione cognitiva della reputazione. La conferma risiede nel linguaggio neuronale; nello specifico nel sistema più ancestrale alla base della comprensione delle azioni e, in generale, di ogni comportamento intersoggettivo; possibile grazie a una particolare popolazione di neuroni.

In So quel che fai (2006), Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia evidenziano la straordinaria integrazione delle modalità canoniche e a specchio dei principali meccanismi neurali sottesi a qualsiasi comportamento individuale e sociale.

Sei quel che fai: l'equazione della reputazione

In merito, l’avanzamento neuroscientifico ha raggiunto una grande verità: azione, percezione e cognizione sono strettamente interconnesse. Se si guarda alla neonata concezione della cognizione grounded o situata – vale a dire legata ai vincoli del mondo fisico – non esiste infatti una separazione netta tra le tre attività, bensì un’interrelazione, o meglio stretta interdipendenza.

Estendendo la teoria della Embodied Simulation promossa da Vittorio Gallese e George Lakoff (2005) al campo della reputazione, si può asserire con certezza che il capitale del terzo millennio – la reputazione – ha sede nello stesso vocabolario neuronale intersoggettivo alla base delle attività di agency – azioni, reazioni e comportamenti – di un’organizzazione e simulation dell’agency – percezione come simulazione e comprensione dell’azione – da parte di clienti, stakeholder e portatori di interesse.

L’equazione della reputazione

La reputazione è dunque un capitale invisibile, intangibile e immateriale, ma con un peso oggettivo considerevole per l’identità e l’immagine del singolo o dell’organizzazione di riferimento. Per accrescere e rendere stabili i propri valori di image e identity, una realtà deve agire in maniera coerente a mission, promesse e aspettative implicate; 

ma qual è la formula per una buona reputazione?

Sei quel che fai: l'equazione della reputazione

Le innumerevoli definizioni di corporate reputation possono essere raggruppate nell’equazione reputazionale formulata da Oonagh Mary Harpur in Corporate Social Responsibility Monitor (2002): un manager o un’azienda che vantando una buona reputazione sono realtà che oltrepassano le convinzioni dei propri stakeholder.

In breve, la strada del successo reputazionale richiede un’esperienza dinamica e proattiva, orientata al superamento dell’aspettativa attraverso l’interazione strategica dell’azione. Il percorso evolutivo deve inoltre essere in linea con la promessa della realtà di riferimento – vision, obiettivi e valori – e in sincronia con la diffusione positiva del passaparola attraverso comunicati, contenti, stampa e mass media. 

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