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Da Twitter a X: perché non si tratta di un rebranding?

Proprio qualche settimana fa, tra i nostri articoli, si parlava di Rebranding Strategy, citando il percorso di numerosi brand internazionali dai settori più disparati; dal food allo sport, passando dall’automotive ai social network… ma è proprio da quest’ultimo che, sul finire del mese di luglio 2023, arriva una tra le rivisitazioni più radicali e sorprendenti degli ultimi decenni.

Da giorni non si parla d’altro: Twitter fa volare via il suo iconico uccellino, per far spazio ad una grande X, variabile incognita per definizione e per le possibili ripercussioni verso gli stakeholder (e shareholder) del social network stesso.

In questo articolo proveremo dunque ad analizzare la strategia di Elon Musk sotto la lente del reputation marketing, per metterne in luce le ripercussioni a 360 gradi: dai fatti alla percezione; dai driver agli stakeholder; per provare che, a tutti gli effetti, non si tratta di un rebranding.

twitter rebranding x

Twitter diventa X: Elon Musk cambia identità a Twitter

Letteralmente “dalla domenica al lunedìun’enorme X è apparsa giganteggiare sugli headquarters di quelli che erano gli uffici Twitter, accompagnando un repentino rebranding dell’intera App di notizie e microblogging.

Anche per i più disattenti e disinteressati, non poteva che essere opera di Elon Musk, già fan della variabile incognita “X”, tanto da sceglierla per il nome della sua compagnia aerospaziale, la nota Space X, ma anche – e sorprendentemente – per suo figlio, annunciato al mondo come “X Æ A-12”. Insomma, una passione senza confini, in tutti i sensi.

Fin dal giorno del suo insediamento come CEO, il 27 ottobre 2022, Elon ha messo in atto una serie di drastiche rivoluzioni tra le file di Twitter: dopo l’acquisizione da parte della X Corp, il nuovo patron sudafricano ha sostenuto una sorprendente media di circa 40 licenziamenti al giorno, a sua detta dolorosa, ma necessaria per risanare i conti in rosso del colosso dei social network. Ma, analizzando meglio i piani di Elon Musk e a detta di chi scrive, la strategia è ben più ampia e lungimirante di un mero piano di salvataggio finanziario.

Qual è il futuro di X? La “App per tutto” muove i suoi primi passi

Quali che siano le intenzioni di Elon Musk per il futuro della piattaforma – e, storicamente, le sue sono sempre intenzioni “bellicose” – non può di certo prescindere da un florido flusso di cassa. Motivo per cui la nuova AD di X, Linda Yaccarino, si è messa da subito al lavoro per rimediare alla “fuga degli inserzionisti” scattata al momento dell’acquisizione da 44 miliardi di dollari del patron di Tesla.

Perché sono fuggiti? Senz’altro la causa è da ricercare in un mix tra scelte non condivise con i propri stakeholder e una cattiva comunicazione della crisi. Ma ci arriviamo tra poco, adesso concentriamoci sui fini, prima di giudicare i mezzi con cui intende raggiungerli.

twitter rebranding x

Quella di creare una “super app” capace di coprire ogni servizio, è una chimera che attanaglia tutte le big tech occidentali, da oltre un decennio: in molte ci hanno provato, ma tutte hanno fallito. Il modello che tentano di replicare è quello di WeChat in Cina.

La piattaforma di proprietà del colosso Tencent, e valutata circa 85 miliardi, è ben più di un’App di messaggistica per i cittadini della Repubblica Popolare Cinese: è il primo mezzo di informazione; una vetrina per le aziende; un media per fruire di spettacoli; un mezzo di pagamento; insomma, immaginate di avere Facebook, TikTok, Instagram, PayPal, Uber, Just Eat, servizi di identificazione sociale e statali, tutti in un’unica App.

Dalle dichiarazioni di Elon Musk, sembra essere proprio questo il destino di X; un destino che potrebbe vederlo senz’altro vincitore. Ma quale prezzo sta pagando per inseguire questa chimera?

Un’analisi reputazionale di Twitter e del suo rebranding in X

Per compiere questa analisi reputazionale, riprendiamo alcuni dei capisaldi del nostro approccio alla consulenza reputazionale: il posizionamento concorrenziale; l’immagine percettiva comune nota come visual hammer e la sfera semantica dei valori, oltre alla reputazione interna delle organizzazioni.

Con un tempismo perfetto, che a nostro avviso poco ha a che fare con la casualità, Mark Zuckerberg ha subito cercato di prendere possesso del terreno concorrenziale lasciato scoperto da un Twitter in crisi identitaria, dando vita a Threads, una piattaforma giudicata da molti quale clone di Twitter e che promette già molto bene.

In tal senso, additare eventuali colpe alla gestione Elon Musk equivarrebbe a giudicare un problema dalla punta dell’iceberg. Gli utenti attivi in piattaforma, nonché il fatturato, stavano iniziando un lento declino già dal 2021, mostrando Twitter come una piattaforma figlia di una diversa epoca, incapace di mantenere gli standard dei nuovi social basati su un diverso format di intrattenimento: i video-content. Quindi, sempre a detta di chi scrive, una sterzata era d’obbligo… ma perché rinunciare a tutto quel capitale reputazionale?

Per chi possiede un brand commerciale, il sogno è che questo diventi una parola di uso comune; che si insinui tra le pieghe della società come parte di essa. È il caso del rimmel, della moka, dello scottex, dello swiffer o dello scotch, brand divenuti sostitutivi dell’oggetto stesso.

Un risultato encomiabile, che ha raggiunto, tra i tanti, anche Twitter che con il suo verbo “twittare” / “retwittare” era riuscito negli anni ad essere parte del linguaggio della società social. Non di meno, l’uccellino era un visual hammer potentissimo, ed efficace in termini reputazionali, a differenza di una X che, ad oggi, non porta con sé alcun un valore differenziante e memorabile.

Sia chiaro, il rebranding in sé non è il problema: come abbiamo già citato noi stessi, sono tantissimi i casi di successo, ma spesso si tende a non cannibalizzare il brand con la migliore brand equity tra i propri asset.

Molti analisti hanno stimato già una perdita di brand value tra i 4 e i 20 miliardi di dollari, è l’annuncio non è avvenuto neanche 2 settimane fa. A X, adesso, verrà richiesto nel tempo di ricostruire almeno lo stesso consenso linguistico, valore sociale e reputazionale che aveva Twitter, e questa sì che sarà un’impresa spaziale degna di Space X.

In nome degli obiettivi finali precedentemente citati, Elon Musk ha rinunciato ad una sfera semantica che non appartiene più alla sua visione futura dell’App, per gettarsi in un vero e proprio work in progress, dalle tante variabili incognite X. Solo il futuro potrà dirci se l’imprenditore sudafricano avrà avuto ragione o meno, ma ciò non toglie che – ad oggi – ha un vero e proprio mare di guai da sistemare.

A partire proprio dalla lettera X, che per molti esperti affronterà una serie di battaglie legali in diversi settori. Non era difficile immaginare che scegliere semplicemente una lettera X come nome del tuo brand, avrebbe scaturito una serie di problematiche. Per citarne alcuni, molte aziende internazionali hanno la lettera X come identificativa di prodotti o servizi e, se nel mirino di Elon c’è proprio il settore finanziario, X avrà da dibattere con altri players come Xtrade o XInsurance. Inoltre, la X è simbolo storico di siti legati al mondo della pornografia: un altro aspetto reputazionale da non prendere sottogamba.

Se è vero che non esiste reputazione senza percezione sociale, i problemi di Musk aumentano ancor di più sotto questo profilo.

Gli investitori pubblicitari sono fuggiti dalla piattaforma anche perché preoccupati per il clima di estrema tolleranza rispetto ai commenti d’odio, misogini, omofobi e razzisti, i cosiddetti hate speech, da tempo oggetto delle interviste di un Elon Musk alla perenne ricerca di una libertà d’espressione ideologica e assoluta.

Come dimostrato da uno studio condotto dal professor Bond Benton della Montclair State University (New Jersey, Usa), vi è stato un “incremento della quantità di hate speech su Twitter nel periodo immediatamente successivo all’acquisizione di Musk”. “Liberando l’uccellino”, Elon Musk ha rimosso diversi livelli di monitoraggio e limitazioni, in nome di una libertà di espressione totale, procurando però un correlato aumento degli hate speech in piattaforma, la quale si è subito resa meno appetibile agli inserzionisti e agli utenti.

Incremento degli hate speech in piattaforma dopo l’acquisizione di Elon Musk – Da uno studio della School of Communication and Media della Montclair State University

Insomma, smettere di controllare una delle piazze principali di comunicazione globale, in nome della auto-regolamentazione, non sembra essere una via percorribile.

Perché il passaggio da Twitter a X non può essere considerato un rebranding?

In conclusione, il giudizio sull’operato di Elon Musk necessita, a mio modo di vedere, di essere inquadrato in una sfera diversa da quella del rebranding. Sì, è vero, fino ad adesso abbiamo parlato di rebranding e adesso vi scrivo che non lo è.

Può suonarvi strano, ma non sto facendo confusione. Il rebranding c’è stato, ma solo nella percezione degli stakeholder che, di fatto, hanno visto una sostituzione di loghi su tutti i presidi online e offline dell’App, lasciando sostanzialmente inalterato il contenuto della stessa: “un Twitter senza uccellino, più nera e con una grande X”.

Analizzando la visione di Elon Musk, questa operazione inizia ad assomigliare molto di più a ciò che è realmente: un’acquisizione con rilevazione di un marchio, per creare qualcosa di più grande e diverso. Come spiega lui stesso in risposta a svariati Tweet (ops… “post”… non possiamo più dire Tweet) che parlano del “cambio di nome” di Twitter.

twitter rebranding x
Campagna pubblicitaria WWF: “Proteggi la fauna locale prima che sia troppo tardi”

Insomma, se il fine non è – ancora – giudicabile, i mezzi messi in atto fino ad oggi lo sono, perché se agli occhi di tutti questo è stato un rebranding, la colpa è della cattiva comunicazione ad ogni livello. Sono due gli aspetti che più mi lasciano basito:

L’aver ignorato, di fatto, i criteri ESG (dove sottolineo in questo caso la G di Governance), mettendo in atto goffi licenziamenti di massa, abbandonando criteri di vigilanza e moderazione della piattaforma, e facendo trapelare condizioni di lavoro massacranti lungo il periodo di transizione, dove alcuni reporter raccontano di dipendenti accampati in tenda in ufficio per rilasciare la nuova versione dell’App in tempo, per evitare il licenziamento.

Infine, la problematica commistione tra il brand value di X e il personal branding di Elon Musk. Mi spiego meglio: ormai non si può più pensare a Twitter senza pensare al brand Elon Musk, e questo è un incrocio pericoloso.

Le scelte di Musk sono storicamente sregolate, guidate da intuizioni irrazionali (e, per molti, dall’ego), che nel mondo Crypto sono già scaturite in diverse accuse di manipolazione del mercato attraverso la “sua” memecoin DOGE.

Se X professa di diventare l’App per tutto, lo vorrà essere anche per i servizi bancari, e per far funzionare questo l’App avrà bisogno di una grandissima fiducia da parte degli utenti. Una fiducia che sarà difficile ottenere con questo nuovo stile comunicativo.

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